“Giuro di vendicare con la parola e con il sangue”

Il numero dei rivoluzionari assassinati dal bolscevismo prima, dallo stalinismo poi, è incalcolabile e l’obiettivo di ogni regime totalitario è sempre quello di cancellare non solo l’esistenza fisica ma persino il ricordo delle vittime, trasformandole in “non-persone” .

A volte però la ricerca storica (e il caso) permettono di recuperare dal sottosuolo qualche brandello di queste vite dimenticate. È quanto è accaduto con la breve autobiografia scritta nel lager delle isole Solovki da Evgenija Markon. L’opera, scritta nel 1931, è riemersa casualmente dagli archivi dell’ex GPU solo nel 1996 e si è trasformata in un caso letterario attirando l’attenzione di editori mainstream come Gallimard in Francia e Guanda in Italia (Evgenija Jaroslavskaja Markon, “La ribelle”, Guanda 2018, euro 16,50).

Il memoriale, composto da 39 fogli, ha apparentemente uno scopo giudiziario, la prigioniera ventinovenne lo compone su richiesta della polizia politica come elemento di prova da utilizzare nel processo in corso contro di lei. Non si tratta però di una “confessione” ma di un violentissimo atto di accusa con cui la giovane rivoluzionaria, ricostruendo gli eventi salienti della sua vita, si scaglia contro la dittatura bolscevica. Il manoscritto porta la data del 23 febbraio 1931, quattro mesi dopo la giovane verrà giustiziata.

Evgenija Markon nasce a Mosca nel 1902 in una famiglia ebrea agiata, fin da giovanissima matura idee rivoluzionarie (“tredicenne, mi innamorai perdutamente, con sincero slancio, dell’idea di rivoluzione”, p. 23), legge le opere di Max Stirner e del marxista Plechanov e aderisce al Vegetarianismo. Allo scoppio della Rivoluzione si getta nell’attività propagandistica senza risparmio di energie.

La repressione della Rivolta di Kronštadt le apre gli occhi: “Le mani e l’anima mi spingevano a prendere parte attiva nella rivolta di Kronštadt , che non è stata affatto una volgare cospirazione della guardia bianca; è stata una vera rivoluzione, non una rivoluzione bolscevica offuscata dal potere, e l’hanno scatenata gli stessi che avevano fatto quella d’ottobre: i marinai baltici. Purtroppo , a quel tempo non conoscevo nessuno nei circoli anarchici e socialrivoluzionari seri […]” (p. 33), in questa fase matura la convinzione che solo il Sottoproletariato, unito alla massa sfruttata dei contadini, possa costituire la vera classe rivoluzonaria. A cambiarle la vita è l’incontro con il poeta Aleksandr Jaroslavskij (con cui poi si sposerà). Jaroslavskij (oggi, come lei, dimenticato) è fautore del “Biocosmismo”, una corrente letteraria e filosofica di ispirazione futurista e anarchica (prima tollerata e poi repressa dal regime). Lui stesso però piuttosto che “anarchico” preferiva definirsi un “letterato anarcoide” (p. 43). La coppia gira per l’URSS e successivamente in Europa tenendo conferenze e pubblicando articoli, a Parigi entrano in contatto con Volin e Bergman. Nonostante un grave incidente ferroviario nel 1923 in cui aveva perso entrambi i piedi l’attività di Evgenija non conosce soste. Al ritorno in Unione sovietica nel 1928 Aleksandr Jaroslavskij viene condannato a cinque anni di lager per “aiuto alla borghesia mondiale nell’attuazione di attività ostile all’URSS”(p. 140) e nel 1930 verrà fucilato.

Nel frattempo la giovane rivoluzionaria ha incominciato a mettere in pratica le teorie illegalistiche fin qui solo teorizzate. Si dedica a piccoli furti, vive di espedienti e si unisce a comunità di malfattori senza mai cessare di svolgere propaganda antibolscevica. “Quanto alla lotta contro il potere sovietico – dichiarerà orgogliosamente durante il processo del 1931 – ritengo leciti tutti i mezzi, a partire dal principale: l’organizzazione di insurrezioni contadine. È di estrema importanza anche la propaganda tra le unità militari dell’Armata Rossa allo scopo di persuadere i soldati a disertare con le armi, tornare nei propri villaggi e, una volta là, creare una forza armata antibolscevica. […] Come strumento sussidiario di lotta, considero necessario il supporto del mondo criminale, in quanto eterno “germe di rivolta”, però il peso decisivo l’avranno i contadini, e non la massa disorganizzata della criminalità, refrattaria ad ogni organizzazione” (p. 108-109).
Persino nel lager continua a svolgere attività politica: pubblica un foglio manoscritto “La Pravda dei delinquenti”, in cui “esorta il mondo dei fuorilegge a sollevarsi e a rovesciare il potere dei bolscevichi” (p. 144), tenta di aggredire il vicedirettore del campo di concentramento e compie continui atti di insubordinazione. Il 20 giugno 1931 viene fucilata, sputando in faccia ai carnefici.

Mauro De Agostini

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